I TUMULI ORIENTALIZZANTI


L’architettura funeraria del periodo orientalizzante in Etruria si caratterizza per i cd. tumuli e cioè tombe a camera sormontate da cumuli  di terra o di roccia a calotta emisferica che a distanza assumono l’aspetto di colline.

L’ispirazione di questa architettura funeraria monumentale viene rinvenuta in Oriente, forse in Anatolia.

Gli esempi più significativi si possono ammirare nella necropoli della Banditaccia a Cerveteri (Tumulo I e II; Tumulo del Colonnello) ma i grandi  tumuli  si ritrovano in tutta l’Etruria: a Vetulonia (tumulo della Pietrera), a Populonia (Tomba dei Carri), a Castellina in Chianti (tumulo di Montecalvario), a Cortona (Tumuli I e II del Sodo e Tumulo di Camucia), a Vulci (Tumulo della Cuccumella), a Tarquinia (Tumuli della Regina e del Re),  etc ….

Le tombe a tumulo  si  ritrovano tanto nelle necropoli urbane che isolate in ambienti rupestri, in quest’ultimo caso assolvevano anche la funzione di  marcare il possesso  della terra.

Con la monumentalità del sepolcro e la straordinaria ricchezza dei corredo s’intendeva celebrare, anzi autocelebrare, il prestigio del principe e dei suoi discendenti e quindi l’importanza della casata.

A seconda delle dimensioni (il diametro è generalmente compreso tra i 30/40 metri ma può raggiungere anche i 50/60 metri) il tumulo può contenere più tombe, anche scavate a diversi livelli ed epoche, con più ambienti, anche se le tombe più antiche, di  solito, sono costituite da un unico ambiente. Talvolta i tumuli più antichi risultano disposti a coppie, probabilmente si tratta di tumuli pertinenti alle stesse gentes.

Sovente sul tumulo è collocato un podio costituito da un ripiano al quale si  accedeva da una rampa per lo svolgimento dei  culti privati della casata.

In alcuni casi l’ingresso delle tombe si presenta con gradinate a cielo aperto che consentivano a parenti ed amici di assistere ai giochi in onore del  defunti.

Attorno ai tumuli  si trovano frequentemente tombe più modeste (per  struttura e  corredo) che potrebbero appartenere a gentes minori o a clienti  del principe.

Il rito prevalente è quello inumatorio anche se non mancano le incinerazioni.

 

 

 

Periodo Orientalizzante

ORIENTALIZZANTE

 

Per fase orientalizzante s’intende il periodo compreso all’incirca tra il 720 a.C. ed il 580 a.C.. La cultura orientalizzante, che peraltro non caratterizzò la sola Etruria ma tutti i paesi del Mediterraneo occidentale che presentavano forte concentrazione di ricchezze, deve la sua denominazione alla grande diffusione di oggetti di lusso e di motivi provenienti dall’Oriente ed in particolare da Cipro, dalla Fenicia, dall’Egitto, dall’Assiria e dall’Asia Minore.

Le importazioni di oggetti lavorati dall’Oriente e di materiali esotici furono veicolate in Occidente via mare dai Fenici e successivamente dai Greci, Euboici e Corinzi.

Tra le mete dei mercanti vi fu naturalmente anche l’Etruria che con le ricchezze detenute dall’aristocrazia (“principes” e “dominae”) attirava i navigatori stranieri alla ricerca di prodotti agricoli e del sottosuolo.

Se è vero che la nascita dell’aristocrazia in Etruria ha le sue radici nel Villanoviano più recente e sui presupposti socio economici di tale fase è però indubbio che i principes raggiungono il loro fulgore proprio nell’Orientalizzante (come e tra l’altro chiaramente testimoniato dall’adozione del gentilizio che viene trasmesso di generazione in generazione ai membri della gens).

Con i prodotti di lusso (in oro, argento, bronzo, avorio) arrivò però in Etruria anche il know-how degli artisti e degli artigiani orientali ed anzi alcune maestranze si stabilirono in terra d’Etruria al soldo delle elites locali, favorendo  così  l’apprendimento diretto da parte di artigiani ed artisti etruschi (si pensi, ad es., alla scultura in pietra, alla pittura vascolare e a quella parietale, alla lavorazione dell’oro – filigrana, granulazione e pulviscolo -, dell’avorio, dell’ambra, della pasta vitrea, della faience, dell’alabastro, delle uova di struzzo).  

La migrazione degli artisti trova conferma anche nelle fonti antiche (Strabone, Dionigi di Alicarnasso, Cicerone, Plinio il Vecchio) che fanno riferimento a Demarato di Corinto della famiglia dei Bacchidi che, perseguitato dal Tiranno Cipselo, si rifugiò a Tarquinia intorno al 657 a.C. dove sposò un nobildonna etrusca e generò  due figli, uno dei quali divenne re di Roma col  nome di  Tarquinio Prisco. Secondo Plinio al seguito  di Demarato  vi furono tre artisti i cui nomi sono particolarmente significativi Eucheir (dall’abile mano), Eugrammos (abile nel  disegno) e Diopos  (colui che traguarda) in quanto dichiarano i loro mestieri  di pittore, scultore ed architetto.

Le lavorazioni delle maestranze orientali trapiantate in Italia inoltre si adattarono alle esigenze ed al gusto delle aristocrazie locali realizzando così un miscuglio che si caratterizzò  talvolta anche per una qual certa originalità.

Ma l’incontro con l’Oriente e con i navigatori stranieri non ebbe ad oggetto solo merci di prestigio e la tecnica e la perizia degli artigiani ma anche modelli culturali ed ideologici.

Un evento di fondamentale importanza è indubbiamente costituito dall’introduzione della scrittura. Gli etruschi, tra la fine dell’VIII e i primi del VII secolo a.C., presero a riferimento l’alfabeto euboico e cominciarono a far uso della scrittura, che inizialmente  si presenta come esclusivo appannaggio della classe dominante: le epigrafi infatti si rinvengono essenzialmente su vasellame pregiato e contengono l’indicazione  del proprietario dell’oggetto. E’ comunque degno di rilievo che la quantità di iscrizioni etrusche del  VII secolo a.C. pervenuteci è superiore  a quella restituitaci dalle coeve città greche, specialmente coloniali.

Le elites etrusche fecero proprie alcune modalità/manifestazioni di vita delle monarchie orientali e della regalità quali l’esibizione del lusso e delle ricchezze, il fasto, il banchetto con il consumo del  vino e del cibo.

Le principali manifestazioni di tali ideologie trovano concreto riscontro nei grandiosi tumuli funerari con i loro corredi prestigiosi e nei palazzi/residenze  dei  princeps e delle dominae.

 

 

 

Bibliografia:

- Jean Paul Thuillier, GLI ETRUSCHI La prima civiltà italiana, Lindau, 2008, pagg. 125 e ss.  ISBN 978-88-7180-758-4;

- Magagnini Antonella (Testi di), GLI ETRUSCHI Storia e tesori di un antica civiltà, Edizioni White Star, 2008,  pagg. 50 e ss  ISBN 978-88-540-0810-6;

- Naso Alessandro, Le aristocrazie etrusche in periodo orientalizzante: cultura, economia, relazioni, in gli Etruschi, a cura di Mario Torelli, Bompiani, 2000, pagg. 111 e ss.;

- AA.VV. Principi Etruschi tra Mediterraneo ed Europa, Marsilio, 2000;

 

 

 

 

Acroterio a figura umana da Murlo

 

 

LE RESIDENZE DEI PRINCIPI ETRUSCHI

 

Le residenze dei principi etruschi  ci  sono attestate da scavi effettuati a Murlo, in provincia di Siena e ad Acquaraossa presso Viterbo. 

Il prototipo delle residenze dei principi d’Etruria è rappresentato dal  complesso architettonico di Poggio Civitate, a Sud-Est di Murlo. Gli scavi a tutt’oggi in corso hanno messo in evidenza due fasi costruttive: l’edificio più antico fu abitato tra la metà del VII secolo a.C. ed il 600 a.C. circa ed è risultato distrutto da un incendio; il palazzo più recente fu poi  ricostruito tra il 600 e il 590 a.C. ed abbandonato dagli abitanti intorno alla fine del  VI secolo a.C. (l’edificio fu letteralmente smontato e chiuso entro un contrafforte  di pietre e terra). 

L’edificio più antico consiste in una struttura disposta ad elle. L’ala ovest dell’edificio, di forma rettangolare, risulta lunga oltre 35 metri e larga 8. Probabilmente si trattava di un unico grande ambiente a due piani, di  cui quello inferiore con funzione di magazzino come dimostrano i grandi contenitori “phitoi” infossati nel pavimento di terra battuta. L’edificio era anche munito di  copertura fatta di tegole, coppi  e coppi  di  colmo. I coppi di  colmo erano decorati da acroteri a ritaglio: dai frammenti pervenuti si possono ipotizzare almeno 33 acroteri a ritaglio a soggetto fitomorfo (viticci e boccioli) e animalistico (cavalli e felini). Gli acroteri a ritaglio sembrano una peculiarità del tardo orientalizzante etrusco (infatti non ne sono stati rinvenuti in Grecia). Tra i materiali relativi all’edificio più antico devono essere segnalate ceramiche figurate di importazione greche e di imitazione: si tratta per lo più di vasi da banchetto. Il sito ha restituito anche vasellame da mensa, piccoli contenitori da cucina e da magazzino ed una significativa quantità di buccheri delle forme più varie riferibili nella massima parte ad un’officina locale. Ci sono giunti anche oggetti e frammenti in metallo prezioso (oro, argento, avorio) e sigilli in serpentino. Gli scavi hanno portato alla luce presso il margine meridionale di Poggio Civitate un altro edificio, lungo 51 metri, largo 6 e probabilmente aperto su tutti i lati, contemporaneo al palazzo più antico, interpretato come laboratorio artigianale: in questa officina evidentemente lavoravano gli artigiani che vivevano  sul posto. Dall’area ci sono pervenuti frammenti di  beccucci  di mantice, piccoli fornetti, crogioli per la lavorazione  del bronzo, esemplari di  corno, osso ed avorio e numerose tegole deposte direttamente sul pavimento di terra battuta.

Intorno al 590 a.C. la residenza, come detto distrutta da un incendio, fu  ricostruita. Si trattava di un quadrilatero di  circa 60 metri di lato disposto intorno ad un cortile che aveva ai quattro lati delle stanze simili per grandezza (forse delle torri?). Le stanze, complessivamente 18, si aprivano sul cortile interno ed erano di varia grandezza e di diverso uso. Escluso il lato ovest il cortile era cinto da portici. Quest’ultimo lato era caratterizzato da un piccolo fabbricato quadrangolare posto in asse con i tre vani retrostanti di cui quello centrale delimitato da tre muri, interpretato come un ambiente con funzione di  culto. La planimetria dell’edificio presenta forte somiglianza con quelle dei palazzi orientali. L’intero edificio era abbellito da una decorazione continua di lastre fittili poste tutt’intorno al porticato e da statue acroteriali ad ornamento dei tetti. Tutte le terrecotte architettoniche risultano essere state fabbricate con la stessa argilla locale da artigiani che evidentemente lavoravano sul posto. Le statue poste sui coppi  di  colmo non sono più a ritaglio (bidimensionali) come nel periodo precedente ma a tutto tondo (tridimensionali) e di grandi dimensioni. Le statue, modellate a mano, erano a figura umana, seduta o stante, e a figura animale. Tra le statue a figura umana merita menzione quella di un personaggio seduto su di uno sgabello quadrato, con le mani appoggiate sulle ginocchia a tenere un attributo oggi scomparso, con volto rotondo, occhi a mandorla, barba allungata e con cappello a larghissime falde rialzate. Tra gli acroteri a figura animale sono riconoscibili sia animali fantastici (sfingi) che reali (cavalli, leoni, pantere, tori). Le lastre figurate, eseguite a stampo, uguali per misura (alte circa 25 cm. e larghe circa 55 cm.) e per forma rappresentano quattro soggetti diversi: la processione (due personaggi precedono un piccolo carro tenendo la cavezza dei cavalli, sul carro  vi  sono due personaggi ammantati assisi su di un trono uno dei quali sorregge un grande ombrello, il  corteo  è chiuso da due ancelle con flabelli, situle, un cofano e sgabelli rovesciati), l’assemblea (otto personaggi, uomini e donne, cinque seduti su sgabelli ed in un caso su di un trono, tre stanti, in mano ai  personaggi si riconoscono vari attributi: un lituo, una lancia ed una spada, una doppia ascia, un flabello etc …) il banchetto (due klinai con due coppie di banchettanti distesi con due servitori ed un suonatore  di flauto, vicino ai letti  conviviali un tavolino  con vasellame frutta e cibi) la corsa dei cavalli (tre cavalli al galoppo montati da fantini che cavalcano a pelo, a destra un lebete che verrà consegnato al vincitore). Tra i motivi tipici del mondo aristocratico deve anche essere segnalata la scena di caccia con levrieri che inseguono lepri riprodotta sui tegoloni con bordo rialzato posti sui due bordi spioventi del tetto.

Ad Acquarossa, a 6 chilometri a nord di Viterbo, nel più ampio contesto di un vasto abitato è stato rinvenuto un complesso di edifici monumentali (cd. zona F) interpretati come dimora del dinasta locale. La fase più antica del palazzo è attribuibile al  600 a.C., la fase più recente alla seconda metà del VI secolo a.C.. Si trattava di una costruzione rettangolare costituita da tre corpi di fabbrica divisi in vani variamente distribuiti aperti su un cortile centrale irregolare e con colonne di legno dalle basi e dai capitelli di peperino. L’ala nord-ovest era costituita da un lungo ambiente rettangolare fiancheggiato da due stanze minori comunicanti, anteriormente vi era un porticato con quattro colonne e un piccolo silos. L’angolo nord-est  era occupato da tre vani, forse destinati ad uso abitativo. L’ala sud-est era costituta da quattro stanze, di queste tre erano intercomunicanti ed accessibili da un grande portale con colonna centrale. La stanza più meridionale presentava banchine su tre pareti. Dinanzi a tutta l’ala correva un porticato con cinque colonne. Le strutture erano decorate da lastre fittili a rilievo prodotte a matrice (si sono rinvenute  70 lastre di circa 60 per 21 cm.) ed i motivi decorativi erano di quattro tipi diversi: Ercole rappresentato nell’atto di catturare il toro cretese; Ercole che affronta il leone di  Nemea; una scena di  banchetto (uomini e donne distesi su letti conviviali tra musici e coppieri); una scena dionisiaca (con ubriachi e musici). Il tetto dei porticati inoltre era decorato da antefisse a testa femminile o  con palmette dipinte.

 

 

Bibliografia:

-  Goggioli Silvia (a cura di), Antiquariaum di Poggio Civitate, Protagon Editori Toscani, 2002;

- Stopponi Simonetta (a cura di), Case e palazzi d'Etruria, Regione Toscana Electa, 1985;

- Ostemberg Carl Eric, CASE ETRUSCHE DI ACQUAROSSA, Multigrafica Editrice, 1975;

- Chiesa Federica, Facchetti Gulio M., Acquarossa, Murlo, in GUIDA INSOLITA ai luoghi, ai  monumenti e alle curiosità degli ETRUSCHI, Newton e Compton Editori, 2002, pagg. 9 e ss, 168 e ss. ISBN  88-8289-617-X;