Società

 LA DONNA ETRUSCA

 

 

Raffigurazione di Velia Sithiti - Tomba degli Scudi Tarquinia IV secolo a.C.

La donna nella società etrusca, diversamente dalla donna greca ed in parte anche dalla donna romana, aveva una posizione particolarmente rilevante e si trovava in una situazione di quasi uguaglianza  con l’uomo: lungi dall’essere relegata alle attività domestiche si caratterizzava per la liberta di movimento e  la titolarità di diritti.

Non appare invece condivisibile, come sostenuto da Bachofen nella seconda metà dell’Ottocento, che la società etrusca costituisse un esempio di matriarcato o che in Etruria la donna avesse una posizione preminente sull’uomo. Anche per quanto riguarda l’onomastica (sul  punto vedi di seguito) bisogna considerare infatti che alla nascita i figli e le figlie ricevevano il gentilizio del padre e non quello della madre e che comunque il patronimico figura sempre al primo posto.

La rilevanza sociale della donna etrusca comunque trova significative conferme nella documentazione archeologica e nelle storiografia latina e greca.

Nelle iscrizioni, la donna etrusca, al pari dell’uomo, appare fornita di formula onomastica bimembre - nome individuale o prenome + nome di famiglia o gentilizio - a partire dal VII sec a.C. (ad es. su di un olla di bucchero da Montalto di Castro, della fine del VII si legge “mi ramunthas kansinaia”  = io (sono) di Ramuntha Kansinai”; su  un vaso da Capua del V secolo a.C. si trova scritto “mi culixna v(e)lthura(s) venelus” = io (sono) il vaso di Velthura Venel; etc …).Come noto le donne romane erano invece individuate col solo nome gentilizio.

Nell’epigrafia etrusca, inoltre, relativamente ai figli, si registra accanto alla menzione del patronimico, anche quella del matronimico (ad es. a Tarquinia  sul sarcofago della Tomba dei Partunu, datata al III sec a.C., si legge “Velthur, Larisal clan, Cucinial Thanxvilus, lupu aviils XXV” = Velthur, di Laris figlio, (e) di Cuclnei Thanchvil, morto di anni 25).Questa tradizione viene mantenuta in terra d’Etruria anche durante la prima età imperiale, come attestato da numerose iscrizioni  latine (prevalentemente a Chiusi, Perugia e Volsini).

La donna, inoltre, continuava a portare il proprio patronimico o il proprio nome anche da sposata (ad es. su di un sarcofago da Tarquinia del V-I secolo a.C. si legge "Larthi Spantui, figlia di Larc Spantu, moglie di Arnth Partunu".

Per quanto si desume dalle iscrizioni di possesso su oggetti (vasi anche da simposio, statuette, fibule,  ex voto) la donna, fin dal periodo orientalizzante, risulta, al pari dell’uomo, titolare di diritti reali: in qualche caso la donna risulta destinataria del dono (su un vaso del VI secolo a.C. si legge “ mi(ni) aranth ramuthasi vestiricinala muluvanice” = mi donò Aranth a Ramutha Vestiricinai), in altri è la donna stessa a disporre di un proprio bene (ad es. su una fibula d’oro del 650 a.C. si legge “mi velarunas atia” = io (sono) della madre di Velaruna).

Le iscrizioni di possesso femminile su oggetti d’uso, sotto un diverso profilo, dimostrano come la donna, nei ceti alfabetizzati (aristocratici, ma anche scribi e vasai), sapeva leggere e scrivere.

La donna etrusca risulta titolare di tombe, sarcofagi ed urne, così come dimostrato dalle relative iscrizioni femminili o da coperchi di sarcofagi ed urne con rappresentazione di recumbenti femminili.

Si segnala inoltre il rinvenimento, in non pochi casi, di corredi pertinenti a deposizioni femminili di particolare rilevanza quantitativa e qualitativa (ad es. i corredi di “Culni” della Tomba dei Vasi Greci di Caere databile alla fine del VI primi del V secolo a.C. e di  “Larthia” della Tomba Regolini Galassi di Caere del 650 a.C.): l’importanza del corredo attesta chiaramente il prestigio sociale e la ricchezza della defunta.

Si ritiene che la donna fosse anche titolare di attività economiche: alcune iscrizioni arcaiche (“Kusnailise” su ceramica e ”Mi cusul puiunal” su tegola di prima fase) ed ellenistiche (dei bolli volsiniesi con l’iscrizione “Vel numnal”) sono da interpretare come firma della proprietaria della bottega.

Dall’attribuzione da parte di Tito Livio (Storie, I, 34  e 39) a Tanaquilla (moglie del re etrusco di Roma Tarquinio Prisco) di capacità divinatorie ( “… esperta qual’era, come lo sono di solito gli etruschi, nell’interpretazione dei celesti prodigi ….”) si desume che anche le donne dell’aristocrazia potevano interpretare i segni degli dei.

La possibile esistenza di classi di sacerdotesse in Etruria è stata sostenuta da Massimo Pallottino (Studi Etruschi 3, 1929, p. 532) con riferimento al termine “hatrencu” (ad es. “Murai Sethra hatrencu” = Sethra Murai, la sacerdotessa su parete della Tomba delle Iscrizioni di Vulci del III-I secolo a.C.) e da Mauro Cristofani (Studi Etruschi 35, 1980 p. 681) con riferimento a “tameru”. Che la donna potesse avere un ruolo anche in certe pratiche religiose è possibile ipotizzarlo attraverso l’analisi di alcuni sarcofagi, come quello di Londra al British Museum con defunta sdraiata e cerbiatto che si abbevera.(da Tarquinia - IV secolo a.C.). Il Trono della tomba 89/1972 a Verucchio, in provincia di Rimini, mostra, nella parte bassa, un uomo e una donna di altissimo rango trasportati in corteo, su carri imponenti, verso un luogo recintato e all’aperto dove si svolge un rito, forse un sacrificio, gestito da due sacerdotesse alla presenza di guerrieri armati di elmo e lancia, e nella parte alta numerose donne intente a varie attività, tra cui quella del lavoro su alti e complessi telai.

Viene riferita un’epigrafe (su sepolcro da Tarquinia del  IV-III secolo a.C.) che attesterebbe addirittura una donna magistrato: “il giudice Ramtha è stata moglie di Larth Spitus, è morta a 72 anni, ha generato 3 figli” (Arnaldo d’Aversa, La Donna Etrusca, p. 57; Paolo Giulierini in Archeologia Viva luglio-agosto 2007 p. 58 - Le (discusse) donne d’Etruria).

Aristotele (IV secolo a.C.) afferma che “gli Etruschi banchettano con le loro mogli, sdraiati sotto la stessa coperta” (Fragm. 607 Rose). L’iconografia etrusca (cfr., ad es., il Sarcofago cd. degli Sposi da Caere del VI secolo a.C., esposto al Museo di Villa Giulia in Roma; le pitture della Tomba dei Leopardi del V secolo a.C. e della Tomba della Caccia e della Pesca del VI secolo a.C. di Tarquinia; l’Urna cd. degli Sposi Anziani del II-I secolo a.C., esposta al Museo Guarnacci in Volterra) in effetti dimostra che le donne dell’aristocrazia partecipavano ai banchetti, sdraiate accanto agli uomini o sedute su un trono a fianco del letto, e tale partecipazione ne denota il ruolo nella società. Per converso deve essere ricordato che in Grecia le uniche donne ammesse ai banchetti erano le etere (prostitute). La partecipazione delle donne ai banchetti con gli uomini fu oggetto di pesante censura in termini di immoralità da parte degli autori greci  (in particolare Teopompo, scrittore della metà del IV secolo a.C.); tale opinione fu in parte determinata da un atteggiamento di incomprensione, dovuto al ben diverso ruolo sociale attribuito alla donna greca specialmente nel periodo classico, ed in parte all’ostilità verso un popolo nemico che in passato aveva a lungo contrastato i greci..

Il ritrovamento in deposizioni femminili (per quanto è dato desumere dai relativi corredi) di coppie di morsi di cavallo (a Bologna, Veio) e di carri (a Veio, Narce, Marsiliana, Vetulonia, etc …) sottolinea il prestigio ed al tempo stesso la libertà di movimento delle donne dell’aristocrazia etrusca.

La partecipazione della donna etrusca a manifestazioni pubbliche è testimoniata dalle pitture della tomba Tarquinese delle Bighe (fine VI primi V secolo a.C.). In un fregio che corre su tutte e quattro le pareti della camera funeraria sono raffigurate varie gare sportive: lotta, pugilato, salto, lancio del disco, lancio del giavellotto, corsa di bighe. Il pubblico, seduto su quattro tribune (poste agli angoli delle parete di fondo con quelle laterali), è rappresentato da uomini e donne (matrone con velo e giovinette con tutulus). Nella tribuna raffigurata sulla parete destra, in particolare, una matrona con velo (forse una sacerdotessa) è rappresentata in prima fila e due giovinette, più arretrate, assistono ai giochi tra degli uomini. La matrona con un gesto solenne sembra dare inizio alla gara delle bighe.

Il commediografo latino Plauto (III-II secolo a.C.) allude, attraverso le parole dello schiavo Lampadione, all’uso diffuso tra le donne etrusche di prostituirsi per procurarsi la dote (Cistellaria 296-302): “Io ti chiamo per ricondurti tra le ricchezze, e sistemarti in una doviziosa famiglia, dove avrai da tuo padre ventimila talenti per dote. Perché la dote non la debba fare qui da te, seguendo la moda etrusca, prostituendo vergognosamente il tuo corpo!”. Anche per il riferimento alla prostituzione che sarebbe stata praticata dalle donne etrusche valgono le considerazioni già svolte a proposito della partecipazione femminile ai banchetti a proposito degli autori greci. Sappiamo semmai da fonti storiche (Gaio Lucilio – II secolo a.C.) fa riferimento a “ … le cortigiane di Pyrgos”: apud Servio, Ad Aeneid., R, 164), ed in parte anche archeologiche, che in Etruria la prostituzione veniva praticata nella sua forma più "nobile": la prostituzione sacra (diffusa in Siria, Fenicia, Cipro, Corinto, Cartagine, Erice, etc …). Il santuario del porto di Pyrgi (odierna S. Severa) era costituito da due templi principali, uno greco e uno tuscanico più recente, racchiusi da un recinto sacro che lungo un lato presentavano tante piccole cellette che forse servivano appunto per la prostituzione sacra Come noto le prostitute sacre, offrivano se stesse ai pellegrini e ai viaggiatori per sostenere le spese del tempio ed incrementarne le ricchezze.

 

Bibliografia:

- Jaques Heurgon, VITA QUOTIDIANA DEGLI ETRUSCHI, Oscar Mondadori, 1992, pp. 110 e ss.   ISBN  88-04-35442-9;

- Antonia Rallo in Gli Etruschi, Bompiani, 2000, pagg. 131 e ss.;

- Antonia Rallo (a cura di), Le donne in Etruria, L’Erma di Bretschneider, 1989   ISBN 88-7062-669-5;

- Camporeale Giovannangelo, La donna nella società etrusca arcaica, in GLI ETRUSCHI Mille anni di civiltà, Bonechi, 1992, pp. 484 e ss.;

- Albini Pierluigi, L’ETRURIA DELLE DONNE  vita pubblica e privata delle donne etrusche, Scipioni, 2000;

- d’Aversa Arnaldo, LA DONNA ETRUSCA, Paideia Editrice, 1985;