Vita e costumi

IL BANCHETTO

Urna cineraria da Montescudaio VII secolo a.C.

 

 

Tomba dei Leopardi V secolo a.C. Tarquinia

 

 

 

Gli autori antichi (Diodoro Siculo, Aristotele, Ateneo) fanno riferimento al banchetto etrusco, ma ciò che più rileva sull’argomento sono senz’altro le numerose fonti figurate trasmesseci dagli etruschi stessi.  

La rappresentazione del banchetto, che costituisce uno dei temi più ricorrenti nella documentazione figurata etrusca, si ritrova infatti su lastre architettoniche, pitture tombali, cippi, stele, sarcofagi ed urne cinerarie.

L’iconografia del banchetto nel corso dei secoli della civiltà etrusca presenta varianti di rilievo.

La testimonianza archeologica più antica è costituita da un cinerario di impasto rinvenuto a Montescudaio, nei pressi di Volterra, databile alla seconda metà del VII secolo a.C.. Sul coperchio del cinerario vi è riprodotto un signore (certamente un aristocratico) seduto davanti ad un tavola riccamente imbandita, con  a fianco un grande vaso per il vino, alla presenza di una figura femminile (una schiava?) che probabilmente doveva agitare un flabello (oggi perduto).  

La circolazione mediterranea delle rappresentazioni vascolari corinzie ed attiche ebbe però immediate ripercussioni sull'arte figurativa del mondo etrusco nella quale, già dalla metà del VI secolo a.C., iniziano ad apparire con una certa frequenza raffigurazioni attinenti la vita quotidiana (ad es. sulle lastre di terracotta decorate a rilievo provenienti dal palazzo di Murlo, nei pressi di Siena, della prima metà del VI secolo a.C. e su quelle ritrovate ad Acquarossa, nei pressi di Viterbo, attribuibili alla seconda metà del VI secolo a.C.)  ed, in particolare, la sfera funeraria (ad es. sul coperchio di un cinerario da Chianciano (Siena) della fine del VII secolo a.C. e nelle pitture delle tombe tarquinesi della Caccia e della Pesca della fine del VI secolo a.C. e del Frontoncino della metà del VI secolo a.C.) aventi quale tema il banchetto, i cui partecipanti non sono più rappresentati seduti, ma distesi, da soli, in coppia od anche in più persone, su letti triclinari.

Tali raffigurazioni se da un lato testimoniano l'estesa sfera d'influenza dell'arte ellenica, dall'altro indicano l'affermarsi, anche in Etruria, di usanze simposiache provenienti da altre civiltà e adattate alla diversa situazione sociale che assurgeranno presto al rango di ''status symbol.

La reinterpretazione del banchetto etrusco, come acutamente evidenziato da Giovannangelo Camporeale, è testimoniata da alcune diversità che si riscontrano nell’iconografia etrusca rispetto a quella greca. Anzitutto, in coerenza con il diverso ruolo attribuito alla socialità femminile, donne e mogli partecipano al banchetto (in Grecia le uniche donne ammesse ai banchetti erano le etere) condividendo il triclinio con i maschi (come ad esempio nella Tomba tarquinese dei Leopardi degli inizi del V secolo a.C. o nei sarcofagi degli sposi, provenienti da Caere ed esposti rispettivamente nei Musei di Villa Giulia a Roma e del Louvre a Parigi, della fine del VI secolo a.C.) oppure in posizione seduta accanto al proprio sposo (come ad esempio nella Tomba tarquinese degli Scudi, databile nel III secolo a.C. o nell’urna cineraria proveniente da Città della Pieve (Perugia) del IV secolo a.C., esposta nel Museo Archeologico di Firenze).  

E’ stato inoltre rilevato (Giovannangelo Camporeale) che nelle rappresentazioni etrusche le coperte ed i materassi ricadono solo dai lati corti del letto; i banchettanti si appoggiano col gomito sinistro ad un cuscino piegato in senso verticale, che tengono fra il corpo ed il braccio; oltre al cane, presente nelle scene greche, a fianco dei letti possono trovarsi altri animali domestici come gatti e gallinacei.

 

 

 

 

 

 

Bibliografia:

- Camporeale Giovannangelo, in Gli Etruschi mille anni di civiltà, Casa Editrice Bonechi, 1992, pagg. 341 e ss.

IL PHERSU

 

Tomba degli Auguri VI secolo a.C. Tarquinia

 

 

Nelle pitture etrusche di alcune tombe di Tarquinia, e forse anche di Chiusi, tra varie scene sportive e giochi funebri, è raffigurato uno strano personaggio mascherato denominato phersu (il nome si evince dalla chiara iscrizione apposta in due casi accanto al personaggio). Nelle tombe tarquiniesi la figura in argomento si ritrova quattro volte. Nella Tomba degli Auguri (seconda metà del VI secolo AC) il phersu è riprodotto in due diverse scene. Sulla parete destra è rappresentato un gruppo costituito da un individuo con maschera rossa barbata, corto giubbetto maculato, stretta fascia rossa ai lombi ed alto berretto a punta, che tiene al laccio un cane (molosso?) che assale un condannato a morte. Quest’ultimo, con evidenti tracce di ferite sul corpo, ha la vista impedita da un sacco che gli avviluppa la testa e tenta di difendersi dagli attacchi del feroce animale con una clava che impugna con la mano destra. Sulla parete sinistra della tomba il personaggio mascherato, seppur con abbigliamento diverso, appare impegnato in una corsa con il capo rivolto all’indietro.

La cruenta scena di combattimento sopra descritta si riconosce, nonostante il cattivo stato di conservazione della pittura, anche su una delle pareti della Tomba delle Olimpiadi (ultimo venticinquennio del VI secolo AC): in particolare sono visibili le teste del phersu e del prigioniero incappucciato che tiene in mano un’arma.

Sulla parete sinistra della Tomba del Pulcinella (anni finali del VI secolo AC) e della Tomba del Gallo (inizi del IV secolo AC) il solito personaggio con maschera barbata è invece rappresentato in scene di danza.

Il personaggio in argomento sarebbe inoltre raffigurato anche in alcune tombe di Chiusi: nella Tomba della Scimmia (prima metà del V secolo AC), dove un piccolo phersu accompagna, suonando il flauto, la danza di un guerriero e forse anche nella Tomba del Montollo, oggi distrutta e le cui raffigurazioni ci sono giunte solo grazie alle riproduzioni ed alle descrizioni fornite dal Gori.

Su un anfora del pittore dei Satiri danzanti, oggi a Karlsruhe, infine, è rappresentato un phersu che danza con scudo e clava nodosa.

 

Sul phersu sono state avanzate varie ipotesi interpretative allo stato prive di riscontro oggettivo. Alcuni, come Giovanni Semerano, vi hanno visto una divinità, un demone infernale in qualche modo collegato con la morte; altri, come Massimo Pallottino, più semplicemente, un attore, una maschera. In effetti la circostanza che il phersu, oltre che nella gara mortale sopra descritta, sia rappresentato anche in contesti del tutto non cruenti e segnatamente in scene di corsa e di danza farebbe propendere per una caratterizzazione generica del personaggio.

I glottologiaglottologi comunque ritengono che dalla parola etrusca phersu, nel senso di “maschera”, derivi la parola latina “persona” nel suo significato originario di maschera teatrale. Vi sono invece forti dubbi che la parola etrusca sia, a sua volta, un adattamento del greco prosopon (volto, maschera).

 

Nella crudele scena di combattimento orchestrata dal phersu si è ritenuto di vedere (in questo senso,  Raymond Bloch) un’anticipazione dei giochi gladiatori romani che deriverebbero appunto dai giochi funebri dell’Etruria nel corso dei quali venivano offerti al defunto selvaggi combattimenti tra avversari che cercavano disperatamente di salvare le loro vite. Questa tesi sembrerebbe trovare conferma nello storico greco Nicola di Damasco (in Ateneo, I  Deipnosofisti, IV, 153 fr.) secondo il quale i romani mutuarono i giochi gladiatori dagli etruschi.

 

 

 Bibliografia:

- Bloch Raymond, Gli Etruschi, Il Saggiatore Economici, 1994, p. 124;

- Jacques Heurgon, VITA QUOTIDIANA DEGLI ETRUSCHI, Oscar Mondadori, 1994, pp. 286 e ss. ISBN 88-04-35442-9;

- Moretti Mario, Pittura etrusca in Tarquina, Silvana Editoriale d’Arte, Milano,1974;

- Pallottino Massimo, Etruscologia, Hoepli, Milano, 1984, Settima Edizione Rinnovata, p. 392. ISBN 88-203-1428-2;

-  Ranuccio Bianchi Bandinelli, L’Arte Etrusca, Editori Riuniti, 2005 (Tomba della Scimmia p. 202; Tomba di Montollo p. 235). ISBN 88-359-5705-2;

- Semerano Giovanni, Il popolo che sconfisse la morte. Gli etruschi e la loro lingua, Paravia Edizioni Bruno Mondadori Editori, 2003, pp. 13 e ss.